La cura del prato naturale non conosce stagioni, come già evidenziato in un articolo precedente (www.pratinaturali.it/malattie-fungine-invernali-del-prato-naturale-riconoscerle-prevenirle), infatti, alcuni funghi, potenzialmente dannosi, si sviluppano in modo ottimale a temperature medio-basse.
E’ il caso questo di una temuta fitopatia: il Mal del piede delle graminacee (in inglese Take all patch o Ophiobolus patch) causato dal fungo Gaeumannomyces graminis, che si sviluppa con temperature comprese tra i 4 e i 21 gradi.
Le infezioni causate da questo fungo si manifestano principalmente su tappeti erbosi di Agrostis stolonifera nella tarda primavera. Nelle prime fasi la chiazza, piccola e di un colore marrone chiaro, può confondersi con quella di Microdochium nivale (causa del marciume rosa invernale) che però arresta il suo sviluppo proprio verso la fine della primavera mentre il Take all patch continua a svilupparsi durante il resto dell’anno.
I sintomi sono più evidenti dopo stress da caldo e da secco nella tarda estate e, a volte, solo in queste condizioni l’attacco appare evidente, anche se il fungo era già presente da mesi. In questa fase il colore della chiazza è bronzeo-rossiccio e successivamente marrone. Si possono notare chiazze ad anelli a causa del recupero dell’erba nella parte centrale della chiazza (la prima ad essere colpita) o a causa di invasioni di infestanti.
Attenzione a questo periodo dell’anno: durante l’inverno infatti il colore vira al grigio. Generalmente l’infezione si trasmette dalle singole chiazze al resto del tappeto erboso e viene trasportata dalle macchine da taglio o anche attraverso trapianti di zolle non monitorate in precedenza.
Su Agrostis spp. la chiazza (di forma circolare) si allarga fino a circa 15 cm l’anno per raggiungere dimensioni di un metro ed anche più e il centro della chiazza, dove il tappeto è morto, viene spesso invaso da infestanti (di solito poe e festuche).
I maggiori danni si possono avere in condizioni tempo umido e su tappeti irrigati su terreni poco drenanti. Alti pH o calcitazioni favoriscono la malattia. Terreni a tessitura fine, basso contenuto di sostanza organica, bassa o non bilanciata fertilità contribuiscono allo sviluppo del patogeno, così come l’alta presenza di feltro. Danni ingenti si possono verificare anche su terreni fumigati, terreni appena disboscati e terreni con alto contenuto di sabbia.
Per prevenire questa fitopatia è consigliabile utilizzare, gestire il prato in modo da avere un buon drenaggio del terreno e comunque pratiche colturali che favoriscano lo sviluppo dell’attività microbica.
Va ricordato che gli attacchi di mal del piede sono più frequenti e dannosi in suoli con pH superiore a 6 e quindi una efficiente misura preventiva per il controllo di questa fitopatia è l’impiego di concimi a reazione acida come il solfato ammonico o il solfato di potassio. Il solfato ammonico, nello specifico, va distribuito da due a quattro volte nell’arco dell’anno, in primavera ed autunno (le dosi consigliate variano da 3 a 4 kg/100 m²).
Se individuato per tempo e la zona colpita è di ridotte dimensioni, si consiglia di asportare il tappeto erboso ed il substrato dell’area colpita dal fungo fino ad una profondità di almeno 30-40 cm.
Fonti consultate:
Tag:concimazione, fitopatie, giardinaggio, manutenzione, prati naturali, Tappeti erbosi
L’esempio più conosciuto, almeno nel nostro Paese, è sicuramente il “bosco verticale”, un complesso di due palazzi residenziali a torre progettato da Stefano Boeri, Gianandrea Barreca e Giovanni La Varra e situato nel Centro Direzionale di Milano, ai margini del quartiere Isola.
Il bosco verticale è un esempio di applicazione del “verde tecnologico”, una una vera e propria disciplina che unisce l’agronomia all’architettura con l’obiettivo di fondere in un’unica anima il mondo vegetale, con particolare riferimento proprio ai prati naturali, con l’ambiente urbano, portando i parchi e i giardini a contatto diretto con i luoghi dove abitiamo. Peculiarità del bosco verticale di Milano, inaugurato nel 2014, è la presenza di più di duemila essenze arboree, tra erbacee, arbusti e alberi ad alto fusto, distribuite sui prospetti. Questa tendenza, da qualche anno oggetto di continui corsi di approfondimento e formazione sia per gli architetti, sia per gli agronomi, trova la sua espressione in due tipologie principali: il verde pensile e il verde verticale.
Con verde pensile si intende una tecnologia finalizzata a realizzare strati vegetativi su superfici che non sono in contatto con il suolo naturale. Le superfici possono avere spessori anche molto ridotti e possono essere impermeabilizzate, come i tetti piani o inclinati, o non impermeabilizzate.
Il verde pensile non è semplicemente uno strato di finitura, di abbellimento e/o mascheramento di superfici costruite.
Realizzare il verde pensile presuppone la gestione di un sistema integrato e complesso di strati funzionali che hanno lo scopo primario di ricreare un habitat adatto alla crescita e al corretto sviluppo delle specie arboree ed erbacee.
È una soluzione ad alto contenuto tecnologico: viene riprodotto il processo naturale con tecniche che ne imitano le funzioni così da permettere il corretto sviluppo di una superficie vegetalizzata.
Al terreno viene sostituita una stratigrafia, articolata in una serie di strati funzionali caratterizzanti, capace di smaltire le acque in eccesso trattenendo contemporaneamente l’acqua e le soluzioni nutritive necessarie alla vita delle piante.
Non stiamo di certo parlando di una moda recente, i giardini pensili sono una soluzione architettonica che affonda le proprie radici (in tutti i sensi) nel passato, basti pensare al Palazzo Borromeo, edificio seicentesco sito nell’Isola Bella, sul Lago Maggiore (comune di Stresa, provincia del Verbano-Cusio-Ossola).
Oggi, grazie alle tecnologie disponibili, le possibilità di trasformare tetti o terrazzamenti degli edifici urbani sono molteplici e adattabili a grandi superfici come a scala condominiale. Il progetto del nuovo Policlinico di Milano, una costruzione avveniristica che dovrebbe essere conclusa nel 2022, prevede la realizzazione di due blocchi di 7 piani uniti da uno centrale di tre piani sul quale sarà realizzato un giardino terapeutico pensile che secondo l’ideatore, lo stesso architetto Boeri del bosco verticale, sarà il più grande del mondo.
Con verde, o giardino, verticale si intende una parete coltivata con piante specifiche. Queste sono fatte radicare in compartimenti tra due strati di materiale fibroso ancorato alla parete.
Per garantire l’approvvigionamento idrico è previsto un impianto apposito posto tra gli strati.
Vere e proprie opere d’arte, i giardini verticali vengono spesso realizzati in metropoli, in particolare sulle superfici verticali degli edifici. Possono essere anche di grandi dimensioni, come ad esempio quella del CaixaForum di Madrid, progettata dal botanico Patrick Blanc, alta 24 metri e con un’ampiezza di 460 m², oppure il “Padiglione Israele” ad Expo 2015.
Una parete verde non è solo una soluzione esteticamente attraente, porta con sé alcuni vantaggi, andando a costituire una “seconda pelle” degli edifici che ne migliora, da un lato, l’isolamento termico, evitando l’irraggiamento diretto dei raggi solari sulla parete, e, dall’altro la valenza ambientale, contribuendo a catturare le polveri sottili (PM10) in ambiente urbano.
Sintetizzando, le facciate rivestite con prati verticali offrono alcuni vantaggi:
Fonti consultate:
Verde Verticale – Aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green façades. Santarcangelo di Romagna: Maggioli
Coperture a verde: ricerca, progetto ed esecuzione per l’edificio sostenibile, Hoepli
Il Nuovo Verde Verticale – Tecnologie, Progetti, Linee guida. Torino: Wolters Kluwer Italia
Giardini in verticale. Firenze: Verbavolant
Verde: naturalizzare in verticale. Santarcangelo di Romagna: Maggioli
Il verde verticale, Sistemi Editoriali Esselibri Simone
Tag:giardinaggio, innovazione, Italia, milano, ricerca e sviluppo, sostenibilità ambientale, Tappeti erbosi, verde ornamentale, verde tecnologico, verde urbano
Nata negli Usa a inizio anni 90 per ridurre i conferimenti di residui erbosi nelle discariche, che in estate arrivava al 50% del totale del materiale conferito, la tecnica del taglio «mulching» è da tempo diffusa anche nei nostri areali ma come ogni operazione ha dei pro e dei contro.
Il termine si può tradurre come “pacciamatura”, pratica normalmente utilizzata in agricoltura sulle colture orticole con diversi materiali, sia vegetali, sia artificiali per ridurre l’impatto delle malerbe e l’evaporazione dell’acqua dal suolo.
Ovviamente nella gestione del prato naturale il discorso è diverso: quando si rasa il tappeto erboso naturale è possibile optare per la raccolta e lo smaltimento dei residui dell’erba oppure si possono lasciare i residui: praticando quindi il «taglio mulching».
È un approccio che viene apprezzato soprattutto perché permette di risparmiare molto tempo e anche vantaggi operativi, a patto di utilizzarla in modo corretto.
Per il mulching sono necessari rasaerba dotati di lame speciali e di camere di taglio dalla conformazione particolare (vedi figura 1), che consentono di mantenere l’erba tagliata in sospensione all’interno della camera per il tempo necessario alla sua triturazione e viene distribuita sul manto erboso dove si decompone rapidamente senza creare ammassi sulla superficie del prato.
Per evitare l’indesiderata formazione di feltro sul prato è essenziale praticare il taglio mulching su erba asciutta, in caso contrario l’umidità determina un agglomeramento dei residui che, inoltre, possono diventare focolai di infezioni fungine.
Altri aspetti molto importanti sono l’altezza e la frequenza del taglio: secondo le indicazioni tecniche di alcuni costruttori va asportato al massimo un terzo dell’altezza complessiva dell’erba ed è consigliabile evitare di lasciare crescere troppo l’erba tra un taglio e l’altro per evitare di aumentare la massa dei residui che vengono rilasciati sul prato. Quindi il taglio mulching deve essere frequente ed eseguito nei periodi adatti: in autunno le temperature difficilmente consentono la degradazione corretta dei residui e negli areali più umidi il rischio di diffusi marciumi al tappeto erboso diventa elevato.
Oltre a richiedere meno tempo e lavoro all’operatore, che evita la raccolta e lo smaltimento dei residui, secondo alcune fonti il mulching fornisce alle piante una fonte fertilizzante e di sostanza organica legata alla decomposizione dei residui e riduce le perdita di umidità del suolo. A parità di superficie trattata, inoltre, richiede macchine di minor potenza e con minor larghezza, riducendo i danni da calpestamento.
Tra gli svantaggi del taglio «mulching» va indicato il rischio di diffusione di infestanti e dello sviluppo di malattie fungine, inoltre è una tecnica inadatta a tappeti erbosi di qualità elevata: il taglio con raccolta dei residui è infatti l’unica tecnica che permette la massima pulizia visiva e sanitaria del prato.
Non per niente il taglio «mulching» è particolarmente diffuso nel Nord Europa e negli Stati Uniti, territori in cui le superfici adibite a prato raggiungono notevoli dimensioni e la raccolta e lo smaltimento di elevate quantità di erba tagliata possono risultare difficoltosi.
Fonti consultate:
Progetto, Impianto e Cura del Prato (Giunti, 2008)
Spazi verdi pubblici e privati (Hoepli, 1995)
Vita in Campagna (2012)
Tag:giardinaggio, innovazione, mulching, prati naturali, Tappeti erbosi
La legge di stabilità 2018 conterrà un importante capitolo dedicato al verde urbano: il “bonus verde”.
Questa misura approvata dal Consiglio dei Ministri prevede infatti la detrazione del 36% in dieci anni per la “sistemazione a verde” di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari private di qualsiasi genere (terrazzi, giardini, anche condominiali) anche mediante impianti di irrigazione.
In pratica chi possiede una casa con giardino, deve fare grosse potature, ha una siepe malata da sostituire con una sana, un impianto irriguo da installare o sostituire, può usufruire del bonus verde e portare in detrazione il 36% delle spese sostenute in dieci anni.
Il bonus verde dovrebbe diventare operativo entro fine anno e vale sia per i privati sia per i condomini e ci rientrano anche le spese relative al progetto da far realizzare a un progettista del verde.
Altro aspetto importante è la possibilità di trasformare in giardino un’area incolta o marginale e il rientro in detrazione della manutenzione dell’area verde.
La nuova detrazione sarà infatti dedicata alla sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni. Interventi a verde su terrazzi e giardini di case singole e condominiali, villini e palazzi di pregio, coperture a verde e giardini pensili, messa a dimora di piante e arbusti.
Il bonus verde è anche un importante sostegno al settore florovivaistico che, con un valore della produzione di 2,5 miliardi di euro, è uno dei comparti di punta dell’economia agricola, contribuendo con 754 milioni di esportazioni e un saldo attivo negli scambi pari a 230 milioni.
Nelle prossime settimane arriveranno le relazioni al provvedimento, ma stando agli annunci del Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina si tratterà di una detrazione fiscale, quindi l’auspicio è che lo strumento diventi immediatamente operativo con una circolare.
Fonte: Ansa
Tag:euro, giardinaggio, Italia, prati naturali, Tappeti erbosi
L’autunno è iniziato da poche settimane, ma è meglio premunirsi per sfruttare le ultime finestre utili per preparare in modo razionale il prato naturale all’arrivo dell’inverno.
Delle operazioni importanti da svolgere in questo periodo ne abbiamo già trattato in questo articolo www.pratinaturali.it/preparare-prato-naturale-ai-primi-freddi ma vale la pena soffermarsi con più attenzione sulle concimazioni.
Di norma l’ultima concimazione va effettuata quando è già iniziata la stasi vegetativa, quindi attorno alla seconda settimana di dicembre per i nostri climi e serve per il mantenimento del manto erboso durante il periodo invernale. È importante sottolineare che concimazioni azotate prima di periodi caratterizzati da stress ambientali dovrebbero essere rimandate o, al limite, eseguite con molta attenzione. Al contrario concimazioni potassiche favoriscono la resistenza agli estremi termici (molto caldo o molto freddo) ed agli stress idrici (carenze o eccessi di acqua).
L’elemento più importante per la concimazione pre-invernale è il potassio.
Il potassio è fondamentale nei processi di crescita e di sviluppo ed è facilmente traslocato all’interno della pianta, regola l’assorbimento e la ritenzione dell’acqua, influenzando così la resistenza al caldo, al freddo e alla siccità, aumentando inoltre lo sviluppo e la ramificazione dell’apparato radicale.
Fertilizzazioni potassiche possono contribuire a ridurre gli attacchi di numerosi patogeni fungini, in particolare Microdochium nivale (marciume rosa invernale).
Tra le numerose funzioni che il potassio esplica nella piante ricordiamo quindi i seguenti:
Quest’ultimo punto evidenzia l’importanza del suo utilizzo nel periodo autunnale. Il potassio permette infatti alle piante di superare le condizioni termiche avverse, come temperature molto basse.
Discorso a parte merita l’azoto: la concimazione azotata può anche essere utilizzata per interrompere la dormienza invernale e stimolare un precoce risveglio vegetativo primaverile, ma in questo modo si possono aumentare le possibilità di danni causati da gelate tardive.
Nel periodo autunnale le ultime concimazioni debbono variare a seconda della situazione climatica. In climi freddi, dove è possibile il verificarsi di danni da gelo meglio evitare concimazioni nel tardo autunno che avrebbero I ‘effetto di stimolare la crescita dei culmi e quindi l’idratazione dei tessuti.
Come riportato ad inizio articolo, al fine di promuovere una maggiore resistenza alle basse temperature, è meglio evitare la concimazione azotata nei 30-40 giorni che precedono l’entrata in dormienza invernale.
Però molto dipende dall’areale geografico, e quindi climatico, dove si trova il prato: microterme cresciute in regioni caratterizzate da inverni miti possono essere concimate anche per una parte dell’inverno, ma con piccole dosi.
Concimazioni invernali con temperature appena sopra gli 0 °C permettono infatti di mantenere una certa colorazione del tappeto, una buona densità dei culmi, la crescita delle radici, pur non aumentando eccessivamente la respirazione, la crescita dei germogli e l’utilizzazione delle riserve dei carboidrati; infine hanno un positivo effetto nello stimolare un più pronto risveglio vegetativo primaverile.
In suoli sabbiosi molto sciolti è però meglio evitare apporti di azoto a fine autunno per il rischio di incorrere in fenomeni di lisciviazione.
Fonti consultate:
Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
http://plantscience.psu.edu/
Manuale pratico per il manto erboso 2010. Comune di Bologna
Tag:giardinaggio, prati naturali, Tappeti erbosi, verde ornamentale
Con l’arrivo ufficiale dell’autunno il prato naturale deve essere preparato per affrontare i mesi freddi per arrivare in primavera “in perfetta forma”.
Sono sufficienti poche semplici operazioni, che elenchiamo di seguito e sono valide per un prato che è arrivato a fine estate in condizioni normali dal punto di vista estetico e fitosanitario.
Iniziamo con l’operazione più basilare: il taglio.
Nel caso il tappeto erboso sia costituito da specie microterme (Lolium perenne, Festuca arundinacea, Poa pratensis, ecc.) che continuano la loro attività vegetativa in linea di massima la rasatura può proseguire, nell’Italia settentrionale, fino a metà novembre e al Sud e Isole fino a metà dicembre. Nel caso il vostro tappeto erboso sia costituito da specie macroterme (Zoysia japonica, Cynodon dactylon, Paspalum vaginatum, Paspalum notatum, Stenotaphrum secundatum, ecc.) il taglio va diminuito fino ad essere sospeso in base al rallentamento della crescita dell’erba.
A fine stagione, nelle zone mediterranee, è normale vedere un ingiallimento di queste specie d’erba, mentre nelle zone continentali e di montagna le piante entrano in dormienza: la parte aerea muore, ma riprenderà a vegetare verso metà primavera dagli apparati radicali che rimangono vivi.
Tag:concimazione, giardinaggio, Italia, macroterme, manutenzione, microterme, prati naturali, Tappeti erbosi
Un bel prato che cresce da solo è il sogno di qualunque appassionato del verde e, come tale, è praticamente irrealizzabile, ma avere un bel prato con una bassa manutenzione è possibile, a patto di fare le scelte giuste sia in termini agronomici sia di varietà.
Innanzitutto bisogna capire cosa si intende con “bassa manutenzione”, un prato, per quanto resistente e vigoroso, deve comunque poter disporre di una quantità minima di acqua e di una situazione climatica “vivibile”, ma determinate varietà di erba sono molto più adatte di altre al calpestio, necessitano di meno irrigazioni e crescono meno in altezza richiedendo quindi rasatura con minore frequenza.
La Festuca arundinacea è sicuramente una di queste: è una specie microterma appartenente alla famiglia delle Poaceae caratterizzata da ampia adattabilità: è infatti adatta a climi moderatamente freddo-umidi o freddo-aridi e cresce bene anche nelle regioni con climi intermedi. Viene molto utilizzata nella realizzazione di tappeti erbosi poiché tollera caldo, siccità, luce e ombra, rimane verde tutto l’anno (durante l’inverno tende a decolorare leggermente), resiste a diverse malattie, sopporta molto bene l’usura ed è molto persistente anche in caso di scarsa manutenzione.
Predilige suoli fertili, con un pH di 6 – 6,5 ed è caratterizzata da un apparato radicale più profondo rispetto ad altre specie come Poa pratensis, Lolium perenne e Agrostis stolonifera.
Queste caratteristiche la rendono utile sia per l’uso ornamentale, sia sportivo, viene infatti spesso utilizzata per i campi da calcio. Quasi tutte le varietà di Festuca arundinacea sono infatti adatte all’impiego sui tappeti erbosi ricreativi in considerazione dell’elevata resistenza al calpestamento, alle malattie, ai suoli acidi e della bassa suscettibilità alla formazione di feltro.
In commercio è facile reperire miscugli contenenti di Festuca arundinacea in percentuale molto elevata e composti da varietà di ultima generazione, che presentano una crescita verticale più che dimezzata rispetto agli ecotipi originali, maggiore capacità di accestimento, miglior colore, finezza fogliare e crescita eretta dei culmi.
Negli ultimi anni la Festuca arundinacea e i suoi miscugli hanno avuto grande successo, ma è importante che chi acquista non si lasci ammaliare dal packaging della confezione, ma che si faccia guidare dai consigli delle aziende sementiere, in grado di indicare le specie e le varietà più adatte a seconda delle varie esigenze.
Fonti consultate:
Tag:giardinaggio, prati naturali, ricerca e sviluppo, Tappeti erbosi, verde ornamentale
L’arieggiatura (o arieggiamento) del prato è una pratica tanto importante quanto spesso tralasciata, soprattutto in ambiti non professionali.
Arieggiare il prato è vantaggioso per una serie di motivi, che possiamo sintetizzare come segue:
• rompe il “feltro”, ossia lo strato di foglie, detriti e residui vegetali che si depositano sul suolo e che possono costituire uno strato spesso;
• ossigena la zona radicale del prato permettendo un migliore scambio gassoso per le radici;
• permette ad acqua e nutrienti di penetrare meglio nel terreno grazie all’azione di decompattazione.
Questi fattori concorrono quindi a far sì che irrigazioni, fertilizzazioni e anche l’attività di fotosintesi siano più efficienti, dando al prato una maggiore resistenza nei confronti degli stress e, conseguentemente, delle malattie.
In commercio esistono arieggiatori manuali, adatti a superfici contenute, e diversi modelli di arieggiatori/scarificatori adatti all’impiego domestico, sono normalmente dotati di rulli con lame o denti metallici e possono essere equipaggiati con motori elettrici o a scoppio.
La frequenza dell’arieggiamento dipende principalmente da due fattori: il suolo e la tipologia di erba.
I suoli argillosi, che si compattano facilmente, andrebbero arieggiati almeno una volta all’anno, mentre quelli più sabbiosi anche ad anni alterni.
Se il prato è particolarmente sollecitato da passaggi di automobili o da frequenti calpestamenti è buona norma valutare lo stato del compattamento in ogni caso.
Nel caso di terreni poco compatti, sabbiosi o terreni che sono stati arieggiati nei 12 mesi precedenti, per l’arieggiamento può bastare una sola passata, mentre nel caso di terreni pesanti o che non sono stati arieggiati da più di un anno è consigliabile fare due passate in sensi opposti.
Per quanto riguarda la tipologia di erba è importante sapere che le specie più adatte ai climi caldi (macroterme, ad esempio Cynodon, Paspalum, Zoysia) preferiscono temperature comprese tra i 24 e i 32 °C per lo sviluppo radicale e tra i 30 e i 37 °C per quello vegetativo, quindi è opportuno arieggiare in tarda primavera-inizio estate, in modo da far sì che la crescita del manto riempia i vuoti creati con l’arieggiatura. L’erba per climi freschi (microterme, ad esempio Poa, Lolium, Festuca) predilige una temperatura tra i 10 e 18 °C per l’attività radicale e tra i 15 e i 24 °C per quella vegetativa aerea, quindi è meglio arieggiare ad inizio autunno.
Prima di arieggiare è bene eseguire un taglio basso intorno ai 3 centimetri ed è buona norma arieggiare quando il suolo è umido, ma non troppo bagnato, per permettere alle lame dell’arieggiatore di agire con più efficacia e meno sforzo. Se necessario è consigliabile irrigare il prato prima di arieggiare. Anche il diserbo va effettuato prima di arieggiare, questa operazione infatti stimola la germinazione di semi di eventuali porzioni radicali di erbe infestanti presenti.
Per lo stesso motivo è inoltre consigliabile eseguire l’arieggiamento prima di riseminare il prato o prima delle fertilizzazioni, l’arieggiatura infatti crea uno spazio che facilita la penetrazione dei semi e del fertilizzante.
Fonti consultate:
Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
Tag:arieggiatura, giardinaggio, prati naturali, Tappeti erbosi
Il periodo più caldo dell’anno è ormai alle porte e anche il prato, come qualunque altra coltura, necessita di acqua per mantenersi rigoglioso e sano.
Ecco qualche consiglio, valido sia per il piccolo giardino dietro casa sia per superfici più ampie ma comunque non per uso professionale.
Irrigare presto alla mattina è una buona pratica per razionalizzare l’utilizzo dell’acqua da parte delle piante, e quindi far sì che l’irrigazione sia efficiente, partendo dal presupposto che il momento in cui effettuare l’irrigazione è quello in cui la pianta inizia ad appassire: ottimale è intervenire immediatamente prima di questo momento e assolutamente prima che l’appassimento diventi permanente. Irrigare nelle ore serali, sebbene sia una pratica normalmente diffusa, aumenta il rischio di malattie fungine delle piante (molto spesso causate da Phytium) perché mantiene la vegetazione umida per diverse ore.
Le ore centrali della giornata sono da evitare nel caso in cui esista il rischio di superare la capacità di infiltrazione dell’acqua nel terreno creando acqua stagnante: questa scaldandosi può aumentare la temperatura della corona della pianta provocando serie lesioni.
Discorso a parte merita la pratica del syringing, tramite la quale si somministrano modeste quantità di acqua allo scopo di aggiungere al raffreddamento determinato dall’acqua traspirata, quello dell’acqua evaporata. Con questo metodo la somministrazione viene effettuata proprio in corrispondenza delle ore più calde della giornata quando è massima la perdita di acqua per evapotraspirazione e più altro è il rischio di deficit idrico. In ambito professionale si usa irrigare i tappeti erbosi sportivi (golf e campi da calcio in primis) nelle ore più calde proprio per abbassare la temperatura dell’erba e fare soffrire meno il tappeto erboso, ma è una pratica da effettuare solamente in caso di necessità ed è meglio averne esperienza.
Sarebbe inoltre buona norma applicare l’acqua a cicli brevi o a quantità ridotte in cicli più lunghi: ciò permette l’ottimizzazione del tasso di infiltrazione idrica senza provocare pozzanghere o ruscellamenti con seri rischi, con il caldo, di sviluppo di organismi fungini come il già citato Pythium. Ulteriore buona norma è interrompere l’irrigazione al formarsi di pozzanghere permettendo l’assorbimento dell’acqua nel terreno prima di ricominciare ad irrigare.
Uno degli aspetti più complessi legati all’irrigazione è ovviamente la quantità di acqua da distribuire, in linea di massima è importante dare acqua ma nello stesso tempo non asfissiare il terreno.
Un valore assolutamente generale, che varia comunque in base ad altitudine, evapotraspirazione ed altri fattori, può essere quello di 6 litri di acqua per m² di prato al giorno. Quindi, ipotizzando di irrigare ogni 2 giorni, all’incirca 24 litri per m² alla settimana.
Nel caso in cui sia necessario intervenire con volumi idrici molto consistenti in una unica soluzione è buona pratica effettuare in precedenza la “forconatura” del prato. Questa operazione altro non è che la foratura, con un attrezzo adatto, del manto erboso per una profondità che può arrivare a 20-30 cm. Gli impianti professionali, come i campi da calcio o da golf, dispongono di macchine che eseguono questa operazione, mentre nel prato “domestico” si può utilizzare, appunto, un semplice “forcone”.
Lo scopo di questa operazione è quello ovviare temporaneamente a fenomeni quali ristagni di acqua, che possono verificarsi anche dopo i temporali tipici di questo periodo dell’anno, che aumentano il rischio sopraccitato di malattie fungine.
Fonti consultate:
Tappeti Erbosi (Edagricole, 2006)
www.sementi.it
www.vitaincampagna.it
www.calciatori.com
Tag:acqua, giardinaggio, irrigazione, prati naturali, sostenibilità ambientale
Edgardo, qual è la mission principale della sua azienda?
La nostra è una storia di famiglia, l’azienda è stata fondata da mio padre nel 1959, e oggi ci lavora anche mia figlia Federica. Da oltre 50 anni la nostra mission è fornire ai clienti prodotti innovativi con logica “Tailor made”, dei pacchetti fatti su misura secondo le loro esigenze.Abbiamo una lunga esperienza sui tappeti erbosi per uso sportivo ma il nostro core business è senza dubbio la nutrizione, siamo profondamente convinti che per fornire risposte sicure alla nostra clientela sia necessario essere sempre aggiornati su tutte le novità del settore, a partire dalla proposta di sementi e fertilizzanti funzionali per il prato.
Può segnalarci le esperienze e gli impianti più importanti di cui si è occupata la vostra azienda? In quali aree siete più attivi?
Siamo specializzati soprattutto nei campi da golf e sinceramente, tra Italia ed Europa, ne abbiamo seguiti così tanti che non saprei sceglierne uno. Possi citare gli ultimi tre realizzati a Cortona, a Livorno e in Val Curone, nell’alessandrino. Soprattutto in questo settore crediamo molto nella nutrizione organica e organo-minerale dei tappeti erbosi, siamo una tra le pochissime aziende a fornire un pacchetto completo di prodotti eco-compatibile al 100% e/o addirittura 100% biologico per la gestione del tappeto erboso senza utilizzo di agrofarmaci. Ovviamente per ottenere i migliori risultati offriamo un servizio costante di assistenza tecnica al cliente.
Quali sono gli aspetti da considerare quando si sceglie un tappeto erboso naturale?
Al primo posto la location, un tappeto erboso a Courmayeur ha esigenze molto differenti da uno a Catania. La destinazione d’uso è altrettanto importante, un prato sportivo è molto diverso da uno ornamentale, così come lo è la tipologia di suolo, altro aspetto fondamentale da considerare. Infine direi la disponibilità idrica e l’impegno richiesto per la sua manutenzione.
Cosa significa per voi “Think Green!” (Pensa in Verde!), è un impegno preciso legato all’ecosostenibilità dei vostri prodotti?
Per noi da sempre è anche una filosofia di vita oltre che di lavoro, lavoriamo costantemente per la realizzazione di prodotti sempre più funzionali a rendere compatibile lo sviluppo dell’attività umana con l’ambiente circostante. Per noi il tappeto erboso ideale è biologico, oltre che verde.
Tag:giardinaggio, innovazione, Italia, prati naturali, ricerca e sviluppo, Sport, Tappeti erbosi, Universal manure company