Per avere un prato naturale bello, rigoglioso e in salute è essenziale conoscere alcuni concetti basilari sul primo fattore che concorre alla sua costituzione: la (o le) specie utilizzate per la sua creazione.
Clima, esposizione, disponibilità di acqua e destinazione d’uso sono infatti parametri molto importanti per la buona riuscita di un prato e sono strettamente legati alle differenti specie: in linea generale i semi più indicati per il prato “di casa” sono quelli che appartengono alla famiglia delle Graminacee come Poa, Lolium, Festuca, Agrostis che si sviluppano velocemente e resistono bene a tagli frequenti, ma in commercio esistono tipi di erba che si prestano a sopportare le alte temperature e i periodi di siccità e altri meno.
La prima distinzione che è importante conoscere è quella tra specie microterme e macroterme.
Il gruppo delle specie da tappeto erboso definibili microterme è sostanzialmente racchiuso all’interno della sottofamiglia delle Festucoideae ed in massima parte rappresentato da Festuceae, Hordeae e Agrostideae. Si tratta di specie graminacee che si sono particolarmente adattate a crescere in climi a carattere prevalentemente freddo-umido. Sono però anche diffuse in regioni fredde subumide e fredde semiaride, così come nella zona di transizione.
In linea di massima presentano un intervallo di temperature ottimali comprese fra i 10 e i 18 °C per quanto concerne l’attività radicale e fra i 15 e i 24 °C per la parte vegetativa aerea. Le specie che hanno un qualche interesse dal punto di vista del tappeto erboso sono più di una ventina e la maggior parte di esse è di origine eurasiatica.
Le specie microterme di maggiore impiego nel settore dei tappeti erbosi appartengono ai generi Agrostis, Festuca, Lolium e Poa. Sono più adatte a climi freddo-umidi, in genere formano tappeti erbosi con apparati radicali superficiali, poco resistenti ad alte temperature e siccità.
Rispetto alle macroterme, si caratterizzano per:
Le tipiche specie per il prato all’inglese sono Lolium perenne, Poa pratensis, Festuca rubra, Festuca arundinacea e Agrostis stolonifera. Spesso queste specie vengono utilizzate in miscuglio per migliorare la capacità di adattamento del tappeto erboso alle diverse condizioni ambientali. L. perenne è apprezzabile per la spiccata velocità d’insediamento e la resistenza al calpestio.. P. pratensis predilige zone soleggiate con buona disponibilità idrica, ed è in grado di entrare in dormienza estiva in caso di caldo eccessivo o siccità prolungata. F. rubra si adatta ad ambienti ombreggiati e siccitosi e comprende tre importanti sottospecie botaniche: F. rubra rubra, F. rubra commutata e F. rubra tricofilla, che sebbene abbiano caratteristiche simili mostrano un comportamento diverso a seconda delle condizioni. F. arundinacea si caratterizza per la resistenza al caldo ed alla siccità, al calpestio ed alle malattie fungine, formando un tappeto erboso a tessitura robusta. A. stolonifera è la specie che meglio si adatta ai tagli frequenti e che offre risultati estetici migliori, tuttavia necessita di cure frequenti e per questo motivo è principalmente utilizzata nei giardini di pregio e nei campi da golf.
Le specie macroterme che possono essere impiegate per la costituzione di un tappeto erboso sono costituite essenzialmente da graminacee appartenenti alle sottofamiglie Panicoideae ed Eragrostideae. Le specie principali sono: Zoysia japonica, Cynodon dactylon, Paspalum vaginatum, Paspalum notatum, Stenotaphrum secundatum. Provengono da regioni a clima caldo, sia umido che arido: Africa orientate e India per il genere Cynodon, Sud America per Paspalum, Centro America per Stenotaphrum, Asia per Zoysia. Sono perciò meglio adattate delle specie microterme a climi caldi, preferiscono temperature comprese tra i 24 °C ed i 32 °C per un ottimo sviluppo radicale e tra i 30 °C ed i 37 °C per la crescita di stoloni, culmi e foglie.
In generale, se poste a confronto con le microterme, le specie macroterme si caratterizzano per:
In linea generale, quindi, le specie macroterme sono più adatte a climi caldo-aridi, con un optimum tra i 25 e 35°C e scarsità idrica, sono più resistenti a funghi e infestanti, ma più sensibili delle microterme agli attacchi degli insetti. Queste essenze formano una zolla molto robusta e compatta che rende il prato resistente all’usura e al calpestio. Con i primi abbassamenti termici autunnali le macroterme vanno in dormienza, assumendo una colorazione giallo paglierina; alla ripresa vegetativa primaverile riprendono una colorazione verde.
Fonti consultate:
Tag:clima, fitopatie, irrigazione, macroterme, microterme, prati naturali, prato naturale, ricerca e sviluppo, Tappeti erbosi
La cura del prato naturale non conosce stagioni, come già evidenziato in un articolo precedente (www.pratinaturali.it/malattie-fungine-invernali-del-prato-naturale-riconoscerle-prevenirle), infatti, alcuni funghi, potenzialmente dannosi, si sviluppano in modo ottimale a temperature medio-basse.
E’ il caso questo di una temuta fitopatia: il Mal del piede delle graminacee (in inglese Take all patch o Ophiobolus patch) causato dal fungo Gaeumannomyces graminis, che si sviluppa con temperature comprese tra i 4 e i 21 gradi.
Le infezioni causate da questo fungo si manifestano principalmente su tappeti erbosi di Agrostis stolonifera nella tarda primavera. Nelle prime fasi la chiazza, piccola e di un colore marrone chiaro, può confondersi con quella di Microdochium nivale (causa del marciume rosa invernale) che però arresta il suo sviluppo proprio verso la fine della primavera mentre il Take all patch continua a svilupparsi durante il resto dell’anno.
I sintomi sono più evidenti dopo stress da caldo e da secco nella tarda estate e, a volte, solo in queste condizioni l’attacco appare evidente, anche se il fungo era già presente da mesi. In questa fase il colore della chiazza è bronzeo-rossiccio e successivamente marrone. Si possono notare chiazze ad anelli a causa del recupero dell’erba nella parte centrale della chiazza (la prima ad essere colpita) o a causa di invasioni di infestanti.
Attenzione a questo periodo dell’anno: durante l’inverno infatti il colore vira al grigio. Generalmente l’infezione si trasmette dalle singole chiazze al resto del tappeto erboso e viene trasportata dalle macchine da taglio o anche attraverso trapianti di zolle non monitorate in precedenza.
Su Agrostis spp. la chiazza (di forma circolare) si allarga fino a circa 15 cm l’anno per raggiungere dimensioni di un metro ed anche più e il centro della chiazza, dove il tappeto è morto, viene spesso invaso da infestanti (di solito poe e festuche).
I maggiori danni si possono avere in condizioni tempo umido e su tappeti irrigati su terreni poco drenanti. Alti pH o calcitazioni favoriscono la malattia. Terreni a tessitura fine, basso contenuto di sostanza organica, bassa o non bilanciata fertilità contribuiscono allo sviluppo del patogeno, così come l’alta presenza di feltro. Danni ingenti si possono verificare anche su terreni fumigati, terreni appena disboscati e terreni con alto contenuto di sabbia.
Per prevenire questa fitopatia è consigliabile utilizzare, gestire il prato in modo da avere un buon drenaggio del terreno e comunque pratiche colturali che favoriscano lo sviluppo dell’attività microbica.
Va ricordato che gli attacchi di mal del piede sono più frequenti e dannosi in suoli con pH superiore a 6 e quindi una efficiente misura preventiva per il controllo di questa fitopatia è l’impiego di concimi a reazione acida come il solfato ammonico o il solfato di potassio. Il solfato ammonico, nello specifico, va distribuito da due a quattro volte nell’arco dell’anno, in primavera ed autunno (le dosi consigliate variano da 3 a 4 kg/100 m²).
Se individuato per tempo e la zona colpita è di ridotte dimensioni, si consiglia di asportare il tappeto erboso ed il substrato dell’area colpita dal fungo fino ad una profondità di almeno 30-40 cm.
Fonti consultate:
Tag:concimazione, fitopatie, giardinaggio, manutenzione, prati naturali, Tappeti erbosi
“Il golf è un gioco per due persone, o coppie, che consiste nel colpire una pallina dura con mazze dalla testa di ferro e di legno fino a farla entrare in una serie di buche ricavate da una superficie erbosa levigata, poste a varie distanze le une dalle altre e separate da piste e ostacoli. Scopo del gioco è imbucare la pallina col minor numero possibile di colpi”. La definizione enciclopedica del golf secondo il Concise Oxford Dictionary evidenzia bene il forte legame tra questo sport e il prato naturale, che forse ancor più del calcio consente la valorizzazione del tappeto erboso e, con esso, dell’ambiente.
Il gioco consiste nel colpire una pallina di plastica dura (nota come palla da golf) lungo un apposito percorso, da una piazzola di partenza (il tee), fino alla buca sistemata in una zona d’arrivo (il green), mediante una successione di colpi conformi alle regole, tipicamente su più buche da conquistare lungo il percorso. Allo scopo viene utilizzato un certo numero di bastoni da golf, di forma, peso e dimensioni diverse. La vittoria va al golfista che termina le buche stabilite (generalmente 18) con il minor numero di colpi (gara a colpi o stroke play), oppure a quello che abbia vinto il maggior numero di buche (gara a buche o match play).
L’origine di questo sport è molto antica, il primo documento in cui si fa riferimento al gioco del golf, definito gowf o goff, è un decreto del 1457 del re di Scozia Giacomo II. Il golf ha fatto la sua comparsa in Italia nel 1900 e fece parte del programma olimpico nel 1900 e 1904; dopo diversi incontri fra i massimi esponenti dei tornei europei e americani con il Comitato Olimpico per un possibile ritorno del golf all’edizione 2016 dei giochi, il 9 ottobre 2009 il Comitato Olimpico Internazionale stabilì il rientro di tale gioco nel programma olimpico.
E’ un gioco molto complesso e pieno di regole e uno dei suoi aspetti più interessanti è che uno dei pochi sport a non avere un campo di gioco standardizzato: ogni campo nel mondo è diverso nelle sue caratteristiche anche se alcuni elementi si trovano ovunque. Un campo da golf può essere situato su grandi aree in pianura, in collina, in montagna o in qualsiasi luogo dove vi siano ampi spazi verdi. Il suo percorso è composto da tutta l’area di gioco (ostacoli naturali inclusi) a esclusione della zona di partenza e di quella della buca.
L’insieme di un campo di golf da 18 buche costituisce un’area di circa 60 ha che possono diventare anche molti di più se, ad esempio, si comprendono tra buca e buca zone scoscese, zone boschive da salvaguardare o zone “di rispetto” per qualche loro particolare interesse. Dal punto di vista dell’utilizzazione del territorio il campo di golf rientra (giustamente) tra le attività agricole, fatta eccezione per la club house e gli edifici ad essa annessi. Il cuore dell’impianto è ovviamente il prato naturale: un campo da golf viene realizzato prevalentemente senza uso di materiali edili, con trasformazioni del terreno dovute semplicemente a movimento terra e semina è di norma viene costituito per oltre il 50% da prato a bassa manutenzione mentre la parte restante è prevalentemente destinata a prato rasato, con limitate superfici in sabbia.
La crescita del golf in Italia, in termini di impianti, ha avuto incrementi quasi esponenziali. Dal 1954 ad oggi, il numero dei circoli affiliati, aggregati e promozionali è aumentato di oltre 20 volte superando i 400 impianti.
Sempre nello stesso lasso di tempo le tessere distribuite sono passate da 1.220 a circa 100.000, con un incremento di oltre 80 volte il numero iniziale. In Italia esistono inoltre 175 impianti di minori dimensioni (campi pratica), dove è possibile praticare il golf a prezzi estremamente contenuti, ma che non posseggono un percorso di golf vero e proprio.
Il golf risulta piuttosto diffuso nella Pianura Padana, soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, dove sono localizzati oltre il 70% delle strutture golfistiche; mostra una buona situazione nel centro Italia, dove da alcuni anni si stanno moltiplicando gli impianti in Emilia Romagna, nella Toscana e nel Lazio, ma presenta una severa carenza nel sud d’Italia e nelle Isole.
Questo tipo di distribuzione geografica nella nostra penisola è diretta conseguenza degli insediamenti britannici che agli inizi del secolo caratterizzarono fortemente alcune località turistico – residenziali. Da queste zone il golf si è poi distribuito nelle grandi città del nord, diventando “italiano” a tutti gli effetti.
Da registrare che in questi ultimi anni la realizzazione di nuovi percorsi di golf si è fatta via via più complicata: la FIG (Federazione Italiana Golf) sostiene che il motivo non è solo una (comprensibile) contrazione della domanda di gioco vista l’attuale situazione economica, ma è sempre più difficile reperire gli spazi da destinare a questo scopo, mancano gli strumenti urbanistici per snellire i tempi di realizzazione dei vari progetti ed a volte si soffre anche per incomprensioni con le pubbliche amministrazioni o con le comunità locali. Inoltre i campi da golf soffrono, ingiustamente, di alcuni falsi miti, tra cui quello che sarebbero fonte di inquinamento ambientale a causa dell’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci.
La realtà è ben diversa: da anni nella maggior parte dei percorsi di golf i fitofarmaci vengono utilizzati con grande parsimonia. Vengono difatti considerati come ultima possibilità di difesa, esistendo numerose ed efficaci tecniche alternative per la prevenzione delle principali avversità del tappeto erboso (interventi agronomici, selezione di essenze resistenti, altro). Le aree potenzialmente interessate dai trattamenti inoltre sono quelle di maggior pregio (greens, tees ed in parte fairways) ed interessano quindi una percentuale molto ridotta della superficie complessiva (dal 2 al 20% massimo, che su un percorso di 18 buche di circa 60 ha significa da 1,2 a 12 ha). Parlando di fertilizzanti, l’unico rischio potrebbe essere rappresentato dall’elemento nutritivo più importante per il tappeto erboso e più facilmente disperdibile nell’ambiente, cioè l’azoto.
Nei percorsi di golf tale rischio è estremamente contenuto o addirittura escluso per il fatto che i fabbisogni sono sempre molto bassi, le aree trattate sono circoscritte (dal 2 al 20% massimo della superficie complessiva), i vettori azotati impiegati sono spesso di origine organica o a lenta cessione ed infine i dosaggi applicati sono sempre necessariamente molto frazionati. Altro falso mito è l’elevatissima esigenza idrica, ma il contributo della Ricerca in questo senso ha portato all’individuazione di varietà e specie sempre meno esigenti dal punto di vista idrico, che nel caso delle specie “macroterme”(gramigne) ad esempio si traduce in risparmi di acqua del 50% ed oltre rispetto ad un tappeto erboso tradizionale.
Anche in questo caso una recente indagine condotta dal C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha permesso di rilevare che un percorso di golf necessità di quantitativi di acqua decisamente inferiori a quelli richiesti dalle più comuni colture agricole (circa il 50% in meno).
In realtà i percorsi di golf sono un’indiscutibile risorsa economica sia per la comunità locale e per le strutture confinanti, sia diretta che indotta (turismo). Inoltre un esempio di grande impegno del Golf italiano nei confronti dell’ambiente è rappresentato dal progetto “BioGolf”, un protocollo che, sotto il profilo della manutenzione del tappeto erboso, non prevede l’uso di prodotti chimici di sintesi, adotta fertilizzanti organici naturali e fitofarmaci biologici, punta ad operazioni colturali di natura meccanica, incentiva la sostenibilità ambientale e la protezione e la conservazione del paesaggio e della biodiversità.
Fonti consultate:
Tag:golf, prati naturali, ricerca e sviluppo, salute, sostenibilità ambientale, Sport
I rischi sulla salute umana legati ai prati artificiali continuano ad essere una questione controversa in più parti del mondo, anche nei paesi che vantano una fortissima tradizione di attività sportive all’aria aperta.
Se in Europa, Italia compresa, si discute da oltre un decennio sul possibile legame tra erba artificiale e insorgenza di tumori (vedi www.pratinaturali.it/salute-pubblica-lolanda-si-interroga-sui-rischi-dellerba-sintetica e www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) negli Stati Uniti il dibattito è altrettanto acceso; sono infatti diverse le testimonianze a favore della tesi causa (prati sintetici) – effetto (probabilità di malattia) sebbene altrettanto numerose siano quelle che mirano a sfatare tale tesi.
Ma andiamo con ordine.
Uno studio (non pubblicato) del 2016 della Rutgers University, Ateneo del New Jersey, ha infatti esaminato la composizione chimica dell’intaso di gomma utilizzato di alcuni prati artificiali a New York trovando sei potenziali composti cancerogeni (idrocarburi policlicici aromatici) ad una concentrazione superiore a quella prevista dalla legge dello Stato. In questo caso i risultati dello studio, secondo gli stessi ricercatori, potrebbero essere stati influenzati dai solventi utilizzati per l’estrazione dei composti dalla gomma, ma già nel 2014 Amy Griffin (solo per citare un caso), allenatrice di calcio dell’Università di Washington, ha effettuato una ricerca su 53 atleti statunitensi professionisti e non con i quali era entrata in contatto e ai quali era stata diagnosticata una patologia tumorale.
Più del 60% di questi giocatori di calcio erano portieri e le tipologie di tumori predominanti, leucemia e linfomi, sembrerebbero, secondo la sua tesi, legate appunto al ruolo di questi atleti, che prevede uno stretto contatto con i granuli in gomma dell’intaso del campo da gioco con elevata possibilità di ingestione accidentale e/o sfregamento con conseguenti ferite superficiali.
A fronte di queste ricerche e altre testimonianze, l’industria dei prati artificiali ha risposto con studi ufficiali che attestano come i livelli di composti cancerogeni nei granuli di gomma utilizzati negli intasi degli impianti, sebbene presenti, siano a livelli troppo bassi per essere pericolosi per la salute umana.
Di contro il National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS – www.niehs.nih.gov) sostiene da anni che il rischio di cancro è legato non tanto ai livelli di concentrazione di un singolo composto, quanto all’effetto combinato della concentrazione di più composti cancerogeni. Questa importante evidenza è anche alla base della creazione di una task force internazionale composta da più di 300 scienziati, conosciuta come Progetto Halifax (Halifax Project).
Secondo i ricercatori di questa task force la ricerca sulla singola sostanza chimica e sulla sua pericolosità è un approccio incompleto, infatti pochissime delle sostanze chimiche conosciute sono “cancerogeni completi” ossia sono in grado, da sole, di promuovere lo sviluppo tumorale; ne sono un esempio proprio gli idrocarburi policiclici aromatici, prodotti di combustione ubiquitari presenti nel fumo di sigaretta, nelle carni cotte alla brace, oppure anche in alcuni ambienti di lavoro come ad esempio nelle aziende che producono il carbone coke.
Anche se si è appreso molto circa i rischi connessi ad alcune singole sostanze note per essere cancerogene – evidenziano i ricercatori – sappiamo in realtà molto poco dei rischi di cancro che potrebbero essere attribuiti agli effetti combinati delle tante sostanze chimiche alle quali siamo esposti nella nostra vita quotidiana e per questo è necessario approfondirne la ricerca.
A questo va aggiunto che negli Stati Uniti l’EPA (Environmental Protection Agency – Agenzia per la protezione dell’ambiente) ha aperto un progetto, tutt’ora in corso, mirato ad accertare i rischi per la salute legati all’attività sui prati artificiali che si intitola: “Federal Research Action Plan on Recycled Tire Crumb Used on Playing Fields and Playgrounds” (Piano d’azione federale sui granuli riciclati da pneumatici utilizzati nei campi da gioco e ricreativi – consultabile a questo link: www.epa.gov/chemical-research/federal-research-recycled-tire-crumb-used-playing-fields ).
Insomma, negli Stati Uniti come in Europa il dibattito sull’impatto sulla salute dei prati artificiali è molto sentito e solo la ricerca scientifica potrà dare indicazioni chiare.
Di sicuro va ricordato come i prati naturali (vedi www.pratinaturali.it/aria-aperta-sport-prati-naturali-connubio-perfetto-benessere ) non espongano gli utilizzatori, sia atleti sportivi, sia comuni cittadini, ad alcun rischio per la salute, anzi, giovano allo stato psico-fisico delle persone ed all’ambiente in generale.
Fonti consultate:
Tag:benessere, prati naturali, ricerca e sviluppo, salute, sostenibilità ambientale, Sport, Tappeti erbosi
Nata negli Usa a inizio anni 90 per ridurre i conferimenti di residui erbosi nelle discariche, che in estate arrivava al 50% del totale del materiale conferito, la tecnica del taglio «mulching» è da tempo diffusa anche nei nostri areali ma come ogni operazione ha dei pro e dei contro.
Il termine si può tradurre come “pacciamatura”, pratica normalmente utilizzata in agricoltura sulle colture orticole con diversi materiali, sia vegetali, sia artificiali per ridurre l’impatto delle malerbe e l’evaporazione dell’acqua dal suolo.
Ovviamente nella gestione del prato naturale il discorso è diverso: quando si rasa il tappeto erboso naturale è possibile optare per la raccolta e lo smaltimento dei residui dell’erba oppure si possono lasciare i residui: praticando quindi il «taglio mulching».
È un approccio che viene apprezzato soprattutto perché permette di risparmiare molto tempo e anche vantaggi operativi, a patto di utilizzarla in modo corretto.
Per il mulching sono necessari rasaerba dotati di lame speciali e di camere di taglio dalla conformazione particolare (vedi figura 1), che consentono di mantenere l’erba tagliata in sospensione all’interno della camera per il tempo necessario alla sua triturazione e viene distribuita sul manto erboso dove si decompone rapidamente senza creare ammassi sulla superficie del prato.
Per evitare l’indesiderata formazione di feltro sul prato è essenziale praticare il taglio mulching su erba asciutta, in caso contrario l’umidità determina un agglomeramento dei residui che, inoltre, possono diventare focolai di infezioni fungine.
Altri aspetti molto importanti sono l’altezza e la frequenza del taglio: secondo le indicazioni tecniche di alcuni costruttori va asportato al massimo un terzo dell’altezza complessiva dell’erba ed è consigliabile evitare di lasciare crescere troppo l’erba tra un taglio e l’altro per evitare di aumentare la massa dei residui che vengono rilasciati sul prato. Quindi il taglio mulching deve essere frequente ed eseguito nei periodi adatti: in autunno le temperature difficilmente consentono la degradazione corretta dei residui e negli areali più umidi il rischio di diffusi marciumi al tappeto erboso diventa elevato.
Oltre a richiedere meno tempo e lavoro all’operatore, che evita la raccolta e lo smaltimento dei residui, secondo alcune fonti il mulching fornisce alle piante una fonte fertilizzante e di sostanza organica legata alla decomposizione dei residui e riduce le perdita di umidità del suolo. A parità di superficie trattata, inoltre, richiede macchine di minor potenza e con minor larghezza, riducendo i danni da calpestamento.
Tra gli svantaggi del taglio «mulching» va indicato il rischio di diffusione di infestanti e dello sviluppo di malattie fungine, inoltre è una tecnica inadatta a tappeti erbosi di qualità elevata: il taglio con raccolta dei residui è infatti l’unica tecnica che permette la massima pulizia visiva e sanitaria del prato.
Non per niente il taglio «mulching» è particolarmente diffuso nel Nord Europa e negli Stati Uniti, territori in cui le superfici adibite a prato raggiungono notevoli dimensioni e la raccolta e lo smaltimento di elevate quantità di erba tagliata possono risultare difficoltosi.
Fonti consultate:
Progetto, Impianto e Cura del Prato (Giunti, 2008)
Spazi verdi pubblici e privati (Hoepli, 1995)
Vita in Campagna (2012)
Tag:giardinaggio, innovazione, mulching, prati naturali, Tappeti erbosi
«Bologna è una città con forti radici nel mondo rurale, è tradizionalmente legata alla terra ed alla campagna e forse anche per questo i cittadini bolognesi apprezzano molto gli sport che si praticano su impianti in erba naturale, che rimandano ad antichi profumi come quello dell’erba appena tagliata». Questo il pensiero di Massimiliano Danielli, responsabile dell’U.I. Sport – Settore Edilizia e Patrimonio del Comune di Bologna, al quale abbiamo posto alcune domande.
Dott. Danielli, che rapporto hanno i cittadini bolognesi con gli sport che si praticano su prato?
Il cittadino bolognese è naturalmente spinto all’utilizzo del prato naturale perché Bologna vanta una grande tradizione e competenza nella manutenzione di questo genere di superficie. La prima squadra di calcio cittadina gioca in uno stadio, il Renato Dall’Ara, che è sempre stato ai vertici della categoria come qualità del terreno di gioco e che peraltro è stato rizollato completamente questa estate a conferma della tradizione sportiva locale. Un’altra eccellenza cittadina è lo stadio del baseball Gianni Falchi, teatro di scontri epici che, sia nel passato sia nel presente, hanno portato la nostra città al vertice in Italia e in Europa. La eccellente qualità di questo terreno di gioco ha consentito ai cittadini bolognesi di poter assistere anche a partite di campionati mondiali ed europei.
Vedere i propri idoli sportivi giocare e vincere su prati naturali ha indotto le giovani leve e le famiglie ad apprezzare i vantaggi di questo genere di struttura. Non dimentichiamoci inoltre che il cittadino bolognese è tradizionalista: aver giocato in cortile da bambino fa apprezzare la pratica dello sport su erba naturale.
Bologna vanta una buona percentuale di verde attrezzato e aree sportive all’aperto (10% sul totale del verde urbano), è un valore destinato a crescere?
A Bologna c’è un buon equilibrio tra zone rurali e area metropolitana, questo ci permette di avere oggi diverse soluzioni di verde attrezzato e di aree sportive all’aperto in tutte le aree della città.
L’Amministrazione Comunale però non si sta accontentando di quanto già ottenuto nel corso dei decenni passati quando c’erano più possibilità di creare nuovi impianti e di attrezzare nuove aree. Oggi, pur con minori risorse economiche, si sta lavorando a diversi progetti di ristrutturazione ed ampliamento di impianti esistenti.
Può segnalarci delle iniziative future del Comune per mettere ancora più in sinergia il verde urbano e lo sport?
Già da diversi anni l’Amministrazione Comunale, in collaborazione con il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Bologna e con le società, associazioni ed enti di promozione presenti nel territorio, promuove Parchi in Wellness (fino al 2016 denominato Parchi in Movimento), un progetto che offre la possibilità di praticare movimento all’interno dei parchi e dei giardini pubblici della città, mediante appuntamenti gratuiti settimanali. Parchi In Wellness è un percorso rivolto a tutti i cittadini, mirato alla diffusione della buona pratica del movimento, dell’attività motoria all’aperto, con l’intento di contribuire alla promozione della salute e del wellness, favorendo nel contempo la frequentazione e conoscenza dei parchi e dei giardini presenti sul territorio comunale.
Con questo progetto si vuole anche creare una continuità, anno dopo anno, delle attività motorie organizzate cosicché ogni Società sportiva “adotti“ uno o più parchi/giardini, cercando di trasportare in quell’area anche altre iniziative, facendoli diventare un punto di ritrovo attivo.
Alcune delle aree verdi scelte sono gestite e certificate secondo il metodo “Bio-Habitat”, attraverso una manutenzione di tipo biologico che consente di limitare l’inquinamento ambientale e, nel contempo, favorisce la biodiversità. Vorrei segnalare anche che i grandi eventi di promozione dello sport, “Bologna Sport Day” e “Italian Sporting Games” si svolgono negli ultimi anni all’interno del Parco cittadino dei Giardini Margherita e le manifestazioni sportive cittadine “Race for the Cure” e “Run Midnight” hanno scelto come luogo dedicato all’evento la prima i Giardini Margherita e la seconda i Giardini della Montagnola.
Tag:Bologna, calcio, innovazione, prati naturali, ricerca e sviluppo, salute, Sport, Tappeti erbosi
La legge di stabilità 2018 conterrà un importante capitolo dedicato al verde urbano: il “bonus verde”.
Questa misura approvata dal Consiglio dei Ministri prevede infatti la detrazione del 36% in dieci anni per la “sistemazione a verde” di aree scoperte di pertinenza delle unità immobiliari private di qualsiasi genere (terrazzi, giardini, anche condominiali) anche mediante impianti di irrigazione.
In pratica chi possiede una casa con giardino, deve fare grosse potature, ha una siepe malata da sostituire con una sana, un impianto irriguo da installare o sostituire, può usufruire del bonus verde e portare in detrazione il 36% delle spese sostenute in dieci anni.
Il bonus verde dovrebbe diventare operativo entro fine anno e vale sia per i privati sia per i condomini e ci rientrano anche le spese relative al progetto da far realizzare a un progettista del verde.
Altro aspetto importante è la possibilità di trasformare in giardino un’area incolta o marginale e il rientro in detrazione della manutenzione dell’area verde.
La nuova detrazione sarà infatti dedicata alla sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze o recinzioni. Interventi a verde su terrazzi e giardini di case singole e condominiali, villini e palazzi di pregio, coperture a verde e giardini pensili, messa a dimora di piante e arbusti.
Il bonus verde è anche un importante sostegno al settore florovivaistico che, con un valore della produzione di 2,5 miliardi di euro, è uno dei comparti di punta dell’economia agricola, contribuendo con 754 milioni di esportazioni e un saldo attivo negli scambi pari a 230 milioni.
Nelle prossime settimane arriveranno le relazioni al provvedimento, ma stando agli annunci del Ministro delle politiche agricole Maurizio Martina si tratterà di una detrazione fiscale, quindi l’auspicio è che lo strumento diventi immediatamente operativo con una circolare.
Fonte: Ansa
Tag:euro, giardinaggio, Italia, prati naturali, Tappeti erbosi
L’autunno è iniziato da poche settimane, ma è meglio premunirsi per sfruttare le ultime finestre utili per preparare in modo razionale il prato naturale all’arrivo dell’inverno.
Delle operazioni importanti da svolgere in questo periodo ne abbiamo già trattato in questo articolo www.pratinaturali.it/preparare-prato-naturale-ai-primi-freddi ma vale la pena soffermarsi con più attenzione sulle concimazioni.
Di norma l’ultima concimazione va effettuata quando è già iniziata la stasi vegetativa, quindi attorno alla seconda settimana di dicembre per i nostri climi e serve per il mantenimento del manto erboso durante il periodo invernale. È importante sottolineare che concimazioni azotate prima di periodi caratterizzati da stress ambientali dovrebbero essere rimandate o, al limite, eseguite con molta attenzione. Al contrario concimazioni potassiche favoriscono la resistenza agli estremi termici (molto caldo o molto freddo) ed agli stress idrici (carenze o eccessi di acqua).
L’elemento più importante per la concimazione pre-invernale è il potassio.
Il potassio è fondamentale nei processi di crescita e di sviluppo ed è facilmente traslocato all’interno della pianta, regola l’assorbimento e la ritenzione dell’acqua, influenzando così la resistenza al caldo, al freddo e alla siccità, aumentando inoltre lo sviluppo e la ramificazione dell’apparato radicale.
Fertilizzazioni potassiche possono contribuire a ridurre gli attacchi di numerosi patogeni fungini, in particolare Microdochium nivale (marciume rosa invernale).
Tra le numerose funzioni che il potassio esplica nella piante ricordiamo quindi i seguenti:
Quest’ultimo punto evidenzia l’importanza del suo utilizzo nel periodo autunnale. Il potassio permette infatti alle piante di superare le condizioni termiche avverse, come temperature molto basse.
Discorso a parte merita l’azoto: la concimazione azotata può anche essere utilizzata per interrompere la dormienza invernale e stimolare un precoce risveglio vegetativo primaverile, ma in questo modo si possono aumentare le possibilità di danni causati da gelate tardive.
Nel periodo autunnale le ultime concimazioni debbono variare a seconda della situazione climatica. In climi freddi, dove è possibile il verificarsi di danni da gelo meglio evitare concimazioni nel tardo autunno che avrebbero I ‘effetto di stimolare la crescita dei culmi e quindi l’idratazione dei tessuti.
Come riportato ad inizio articolo, al fine di promuovere una maggiore resistenza alle basse temperature, è meglio evitare la concimazione azotata nei 30-40 giorni che precedono l’entrata in dormienza invernale.
Però molto dipende dall’areale geografico, e quindi climatico, dove si trova il prato: microterme cresciute in regioni caratterizzate da inverni miti possono essere concimate anche per una parte dell’inverno, ma con piccole dosi.
Concimazioni invernali con temperature appena sopra gli 0 °C permettono infatti di mantenere una certa colorazione del tappeto, una buona densità dei culmi, la crescita delle radici, pur non aumentando eccessivamente la respirazione, la crescita dei germogli e l’utilizzazione delle riserve dei carboidrati; infine hanno un positivo effetto nello stimolare un più pronto risveglio vegetativo primaverile.
In suoli sabbiosi molto sciolti è però meglio evitare apporti di azoto a fine autunno per il rischio di incorrere in fenomeni di lisciviazione.
Fonti consultate:
Tappeti erbosi – Edagricole (2006)
http://plantscience.psu.edu/
Manuale pratico per il manto erboso 2010. Comune di Bologna
Tag:giardinaggio, prati naturali, Tappeti erbosi, verde ornamentale
Con l’arrivo ufficiale dell’autunno il prato naturale deve essere preparato per affrontare i mesi freddi per arrivare in primavera “in perfetta forma”.
Sono sufficienti poche semplici operazioni, che elenchiamo di seguito e sono valide per un prato che è arrivato a fine estate in condizioni normali dal punto di vista estetico e fitosanitario.
Iniziamo con l’operazione più basilare: il taglio.
Nel caso il tappeto erboso sia costituito da specie microterme (Lolium perenne, Festuca arundinacea, Poa pratensis, ecc.) che continuano la loro attività vegetativa in linea di massima la rasatura può proseguire, nell’Italia settentrionale, fino a metà novembre e al Sud e Isole fino a metà dicembre. Nel caso il vostro tappeto erboso sia costituito da specie macroterme (Zoysia japonica, Cynodon dactylon, Paspalum vaginatum, Paspalum notatum, Stenotaphrum secundatum, ecc.) il taglio va diminuito fino ad essere sospeso in base al rallentamento della crescita dell’erba.
A fine stagione, nelle zone mediterranee, è normale vedere un ingiallimento di queste specie d’erba, mentre nelle zone continentali e di montagna le piante entrano in dormienza: la parte aerea muore, ma riprenderà a vegetare verso metà primavera dagli apparati radicali che rimangono vivi.
Tag:concimazione, giardinaggio, Italia, macroterme, manutenzione, microterme, prati naturali, Tappeti erbosi
Un bel prato che cresce da solo è il sogno di qualunque appassionato del verde e, come tale, è praticamente irrealizzabile, ma avere un bel prato con una bassa manutenzione è possibile, a patto di fare le scelte giuste sia in termini agronomici sia di varietà.
Innanzitutto bisogna capire cosa si intende con “bassa manutenzione”, un prato, per quanto resistente e vigoroso, deve comunque poter disporre di una quantità minima di acqua e di una situazione climatica “vivibile”, ma determinate varietà di erba sono molto più adatte di altre al calpestio, necessitano di meno irrigazioni e crescono meno in altezza richiedendo quindi rasatura con minore frequenza.
La Festuca arundinacea è sicuramente una di queste: è una specie microterma appartenente alla famiglia delle Poaceae caratterizzata da ampia adattabilità: è infatti adatta a climi moderatamente freddo-umidi o freddo-aridi e cresce bene anche nelle regioni con climi intermedi. Viene molto utilizzata nella realizzazione di tappeti erbosi poiché tollera caldo, siccità, luce e ombra, rimane verde tutto l’anno (durante l’inverno tende a decolorare leggermente), resiste a diverse malattie, sopporta molto bene l’usura ed è molto persistente anche in caso di scarsa manutenzione.
Predilige suoli fertili, con un pH di 6 – 6,5 ed è caratterizzata da un apparato radicale più profondo rispetto ad altre specie come Poa pratensis, Lolium perenne e Agrostis stolonifera.
Queste caratteristiche la rendono utile sia per l’uso ornamentale, sia sportivo, viene infatti spesso utilizzata per i campi da calcio. Quasi tutte le varietà di Festuca arundinacea sono infatti adatte all’impiego sui tappeti erbosi ricreativi in considerazione dell’elevata resistenza al calpestamento, alle malattie, ai suoli acidi e della bassa suscettibilità alla formazione di feltro.
In commercio è facile reperire miscugli contenenti di Festuca arundinacea in percentuale molto elevata e composti da varietà di ultima generazione, che presentano una crescita verticale più che dimezzata rispetto agli ecotipi originali, maggiore capacità di accestimento, miglior colore, finezza fogliare e crescita eretta dei culmi.
Negli ultimi anni la Festuca arundinacea e i suoi miscugli hanno avuto grande successo, ma è importante che chi acquista non si lasci ammaliare dal packaging della confezione, ma che si faccia guidare dai consigli delle aziende sementiere, in grado di indicare le specie e le varietà più adatte a seconda delle varie esigenze.
Fonti consultate:
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