“Il golf è un gioco per due persone, o coppie, che consiste nel colpire una pallina dura con mazze dalla testa di ferro e di legno fino a farla entrare in una serie di buche ricavate da una superficie erbosa levigata, poste a varie distanze le une dalle altre e separate da piste e ostacoli. Scopo del gioco è imbucare la pallina col minor numero possibile di colpi”. La definizione enciclopedica del golf secondo il Concise Oxford Dictionary evidenzia bene il forte legame tra questo sport e il prato naturale, che forse ancor più del calcio consente la valorizzazione del tappeto erboso e, con esso, dell’ambiente.
Il gioco consiste nel colpire una pallina di plastica dura (nota come palla da golf) lungo un apposito percorso, da una piazzola di partenza (il tee), fino alla buca sistemata in una zona d’arrivo (il green), mediante una successione di colpi conformi alle regole, tipicamente su più buche da conquistare lungo il percorso. Allo scopo viene utilizzato un certo numero di bastoni da golf, di forma, peso e dimensioni diverse. La vittoria va al golfista che termina le buche stabilite (generalmente 18) con il minor numero di colpi (gara a colpi o stroke play), oppure a quello che abbia vinto il maggior numero di buche (gara a buche o match play).
L’origine di questo sport è molto antica, il primo documento in cui si fa riferimento al gioco del golf, definito gowf o goff, è un decreto del 1457 del re di Scozia Giacomo II. Il golf ha fatto la sua comparsa in Italia nel 1900 e fece parte del programma olimpico nel 1900 e 1904; dopo diversi incontri fra i massimi esponenti dei tornei europei e americani con il Comitato Olimpico per un possibile ritorno del golf all’edizione 2016 dei giochi, il 9 ottobre 2009 il Comitato Olimpico Internazionale stabilì il rientro di tale gioco nel programma olimpico.
E’ un gioco molto complesso e pieno di regole e uno dei suoi aspetti più interessanti è che uno dei pochi sport a non avere un campo di gioco standardizzato: ogni campo nel mondo è diverso nelle sue caratteristiche anche se alcuni elementi si trovano ovunque. Un campo da golf può essere situato su grandi aree in pianura, in collina, in montagna o in qualsiasi luogo dove vi siano ampi spazi verdi. Il suo percorso è composto da tutta l’area di gioco (ostacoli naturali inclusi) a esclusione della zona di partenza e di quella della buca.
L’insieme di un campo di golf da 18 buche costituisce un’area di circa 60 ha che possono diventare anche molti di più se, ad esempio, si comprendono tra buca e buca zone scoscese, zone boschive da salvaguardare o zone “di rispetto” per qualche loro particolare interesse. Dal punto di vista dell’utilizzazione del territorio il campo di golf rientra (giustamente) tra le attività agricole, fatta eccezione per la club house e gli edifici ad essa annessi. Il cuore dell’impianto è ovviamente il prato naturale: un campo da golf viene realizzato prevalentemente senza uso di materiali edili, con trasformazioni del terreno dovute semplicemente a movimento terra e semina è di norma viene costituito per oltre il 50% da prato a bassa manutenzione mentre la parte restante è prevalentemente destinata a prato rasato, con limitate superfici in sabbia.
La crescita del golf in Italia, in termini di impianti, ha avuto incrementi quasi esponenziali. Dal 1954 ad oggi, il numero dei circoli affiliati, aggregati e promozionali è aumentato di oltre 20 volte superando i 400 impianti.
Sempre nello stesso lasso di tempo le tessere distribuite sono passate da 1.220 a circa 100.000, con un incremento di oltre 80 volte il numero iniziale. In Italia esistono inoltre 175 impianti di minori dimensioni (campi pratica), dove è possibile praticare il golf a prezzi estremamente contenuti, ma che non posseggono un percorso di golf vero e proprio.
Il golf risulta piuttosto diffuso nella Pianura Padana, soprattutto in Piemonte, Lombardia e Veneto, dove sono localizzati oltre il 70% delle strutture golfistiche; mostra una buona situazione nel centro Italia, dove da alcuni anni si stanno moltiplicando gli impianti in Emilia Romagna, nella Toscana e nel Lazio, ma presenta una severa carenza nel sud d’Italia e nelle Isole.
Questo tipo di distribuzione geografica nella nostra penisola è diretta conseguenza degli insediamenti britannici che agli inizi del secolo caratterizzarono fortemente alcune località turistico – residenziali. Da queste zone il golf si è poi distribuito nelle grandi città del nord, diventando “italiano” a tutti gli effetti.
Da registrare che in questi ultimi anni la realizzazione di nuovi percorsi di golf si è fatta via via più complicata: la FIG (Federazione Italiana Golf) sostiene che il motivo non è solo una (comprensibile) contrazione della domanda di gioco vista l’attuale situazione economica, ma è sempre più difficile reperire gli spazi da destinare a questo scopo, mancano gli strumenti urbanistici per snellire i tempi di realizzazione dei vari progetti ed a volte si soffre anche per incomprensioni con le pubbliche amministrazioni o con le comunità locali. Inoltre i campi da golf soffrono, ingiustamente, di alcuni falsi miti, tra cui quello che sarebbero fonte di inquinamento ambientale a causa dell’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci.
La realtà è ben diversa: da anni nella maggior parte dei percorsi di golf i fitofarmaci vengono utilizzati con grande parsimonia. Vengono difatti considerati come ultima possibilità di difesa, esistendo numerose ed efficaci tecniche alternative per la prevenzione delle principali avversità del tappeto erboso (interventi agronomici, selezione di essenze resistenti, altro). Le aree potenzialmente interessate dai trattamenti inoltre sono quelle di maggior pregio (greens, tees ed in parte fairways) ed interessano quindi una percentuale molto ridotta della superficie complessiva (dal 2 al 20% massimo, che su un percorso di 18 buche di circa 60 ha significa da 1,2 a 12 ha). Parlando di fertilizzanti, l’unico rischio potrebbe essere rappresentato dall’elemento nutritivo più importante per il tappeto erboso e più facilmente disperdibile nell’ambiente, cioè l’azoto.
Nei percorsi di golf tale rischio è estremamente contenuto o addirittura escluso per il fatto che i fabbisogni sono sempre molto bassi, le aree trattate sono circoscritte (dal 2 al 20% massimo della superficie complessiva), i vettori azotati impiegati sono spesso di origine organica o a lenta cessione ed infine i dosaggi applicati sono sempre necessariamente molto frazionati. Altro falso mito è l’elevatissima esigenza idrica, ma il contributo della Ricerca in questo senso ha portato all’individuazione di varietà e specie sempre meno esigenti dal punto di vista idrico, che nel caso delle specie “macroterme”(gramigne) ad esempio si traduce in risparmi di acqua del 50% ed oltre rispetto ad un tappeto erboso tradizionale.
Anche in questo caso una recente indagine condotta dal C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha permesso di rilevare che un percorso di golf necessità di quantitativi di acqua decisamente inferiori a quelli richiesti dalle più comuni colture agricole (circa il 50% in meno).
In realtà i percorsi di golf sono un’indiscutibile risorsa economica sia per la comunità locale e per le strutture confinanti, sia diretta che indotta (turismo). Inoltre un esempio di grande impegno del Golf italiano nei confronti dell’ambiente è rappresentato dal progetto “BioGolf”, un protocollo che, sotto il profilo della manutenzione del tappeto erboso, non prevede l’uso di prodotti chimici di sintesi, adotta fertilizzanti organici naturali e fitofarmaci biologici, punta ad operazioni colturali di natura meccanica, incentiva la sostenibilità ambientale e la protezione e la conservazione del paesaggio e della biodiversità.
Fonti consultate:
Tag:golf, prati naturali, ricerca e sviluppo, salute, sostenibilità ambientale, Sport
I rischi sulla salute umana legati ai prati artificiali continuano ad essere una questione controversa in più parti del mondo, anche nei paesi che vantano una fortissima tradizione di attività sportive all’aria aperta.
Se in Europa, Italia compresa, si discute da oltre un decennio sul possibile legame tra erba artificiale e insorgenza di tumori (vedi www.pratinaturali.it/salute-pubblica-lolanda-si-interroga-sui-rischi-dellerba-sintetica e www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) negli Stati Uniti il dibattito è altrettanto acceso; sono infatti diverse le testimonianze a favore della tesi causa (prati sintetici) – effetto (probabilità di malattia) sebbene altrettanto numerose siano quelle che mirano a sfatare tale tesi.
Ma andiamo con ordine.
Uno studio (non pubblicato) del 2016 della Rutgers University, Ateneo del New Jersey, ha infatti esaminato la composizione chimica dell’intaso di gomma utilizzato di alcuni prati artificiali a New York trovando sei potenziali composti cancerogeni (idrocarburi policlicici aromatici) ad una concentrazione superiore a quella prevista dalla legge dello Stato. In questo caso i risultati dello studio, secondo gli stessi ricercatori, potrebbero essere stati influenzati dai solventi utilizzati per l’estrazione dei composti dalla gomma, ma già nel 2014 Amy Griffin (solo per citare un caso), allenatrice di calcio dell’Università di Washington, ha effettuato una ricerca su 53 atleti statunitensi professionisti e non con i quali era entrata in contatto e ai quali era stata diagnosticata una patologia tumorale.
Più del 60% di questi giocatori di calcio erano portieri e le tipologie di tumori predominanti, leucemia e linfomi, sembrerebbero, secondo la sua tesi, legate appunto al ruolo di questi atleti, che prevede uno stretto contatto con i granuli in gomma dell’intaso del campo da gioco con elevata possibilità di ingestione accidentale e/o sfregamento con conseguenti ferite superficiali.
A fronte di queste ricerche e altre testimonianze, l’industria dei prati artificiali ha risposto con studi ufficiali che attestano come i livelli di composti cancerogeni nei granuli di gomma utilizzati negli intasi degli impianti, sebbene presenti, siano a livelli troppo bassi per essere pericolosi per la salute umana.
Di contro il National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS – www.niehs.nih.gov) sostiene da anni che il rischio di cancro è legato non tanto ai livelli di concentrazione di un singolo composto, quanto all’effetto combinato della concentrazione di più composti cancerogeni. Questa importante evidenza è anche alla base della creazione di una task force internazionale composta da più di 300 scienziati, conosciuta come Progetto Halifax (Halifax Project).
Secondo i ricercatori di questa task force la ricerca sulla singola sostanza chimica e sulla sua pericolosità è un approccio incompleto, infatti pochissime delle sostanze chimiche conosciute sono “cancerogeni completi” ossia sono in grado, da sole, di promuovere lo sviluppo tumorale; ne sono un esempio proprio gli idrocarburi policiclici aromatici, prodotti di combustione ubiquitari presenti nel fumo di sigaretta, nelle carni cotte alla brace, oppure anche in alcuni ambienti di lavoro come ad esempio nelle aziende che producono il carbone coke.
Anche se si è appreso molto circa i rischi connessi ad alcune singole sostanze note per essere cancerogene – evidenziano i ricercatori – sappiamo in realtà molto poco dei rischi di cancro che potrebbero essere attribuiti agli effetti combinati delle tante sostanze chimiche alle quali siamo esposti nella nostra vita quotidiana e per questo è necessario approfondirne la ricerca.
A questo va aggiunto che negli Stati Uniti l’EPA (Environmental Protection Agency – Agenzia per la protezione dell’ambiente) ha aperto un progetto, tutt’ora in corso, mirato ad accertare i rischi per la salute legati all’attività sui prati artificiali che si intitola: “Federal Research Action Plan on Recycled Tire Crumb Used on Playing Fields and Playgrounds” (Piano d’azione federale sui granuli riciclati da pneumatici utilizzati nei campi da gioco e ricreativi – consultabile a questo link: www.epa.gov/chemical-research/federal-research-recycled-tire-crumb-used-playing-fields ).
Insomma, negli Stati Uniti come in Europa il dibattito sull’impatto sulla salute dei prati artificiali è molto sentito e solo la ricerca scientifica potrà dare indicazioni chiare.
Di sicuro va ricordato come i prati naturali (vedi www.pratinaturali.it/aria-aperta-sport-prati-naturali-connubio-perfetto-benessere ) non espongano gli utilizzatori, sia atleti sportivi, sia comuni cittadini, ad alcun rischio per la salute, anzi, giovano allo stato psico-fisico delle persone ed all’ambiente in generale.
Fonti consultate:
Tag:benessere, prati naturali, ricerca e sviluppo, salute, sostenibilità ambientale, Sport, Tappeti erbosi
«Bologna è una città con forti radici nel mondo rurale, è tradizionalmente legata alla terra ed alla campagna e forse anche per questo i cittadini bolognesi apprezzano molto gli sport che si praticano su impianti in erba naturale, che rimandano ad antichi profumi come quello dell’erba appena tagliata». Questo il pensiero di Massimiliano Danielli, responsabile dell’U.I. Sport – Settore Edilizia e Patrimonio del Comune di Bologna, al quale abbiamo posto alcune domande.
Dott. Danielli, che rapporto hanno i cittadini bolognesi con gli sport che si praticano su prato?
Il cittadino bolognese è naturalmente spinto all’utilizzo del prato naturale perché Bologna vanta una grande tradizione e competenza nella manutenzione di questo genere di superficie. La prima squadra di calcio cittadina gioca in uno stadio, il Renato Dall’Ara, che è sempre stato ai vertici della categoria come qualità del terreno di gioco e che peraltro è stato rizollato completamente questa estate a conferma della tradizione sportiva locale. Un’altra eccellenza cittadina è lo stadio del baseball Gianni Falchi, teatro di scontri epici che, sia nel passato sia nel presente, hanno portato la nostra città al vertice in Italia e in Europa. La eccellente qualità di questo terreno di gioco ha consentito ai cittadini bolognesi di poter assistere anche a partite di campionati mondiali ed europei.
Vedere i propri idoli sportivi giocare e vincere su prati naturali ha indotto le giovani leve e le famiglie ad apprezzare i vantaggi di questo genere di struttura. Non dimentichiamoci inoltre che il cittadino bolognese è tradizionalista: aver giocato in cortile da bambino fa apprezzare la pratica dello sport su erba naturale.
Bologna vanta una buona percentuale di verde attrezzato e aree sportive all’aperto (10% sul totale del verde urbano), è un valore destinato a crescere?
A Bologna c’è un buon equilibrio tra zone rurali e area metropolitana, questo ci permette di avere oggi diverse soluzioni di verde attrezzato e di aree sportive all’aperto in tutte le aree della città.
L’Amministrazione Comunale però non si sta accontentando di quanto già ottenuto nel corso dei decenni passati quando c’erano più possibilità di creare nuovi impianti e di attrezzare nuove aree. Oggi, pur con minori risorse economiche, si sta lavorando a diversi progetti di ristrutturazione ed ampliamento di impianti esistenti.
Può segnalarci delle iniziative future del Comune per mettere ancora più in sinergia il verde urbano e lo sport?
Già da diversi anni l’Amministrazione Comunale, in collaborazione con il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Ausl di Bologna e con le società, associazioni ed enti di promozione presenti nel territorio, promuove Parchi in Wellness (fino al 2016 denominato Parchi in Movimento), un progetto che offre la possibilità di praticare movimento all’interno dei parchi e dei giardini pubblici della città, mediante appuntamenti gratuiti settimanali. Parchi In Wellness è un percorso rivolto a tutti i cittadini, mirato alla diffusione della buona pratica del movimento, dell’attività motoria all’aperto, con l’intento di contribuire alla promozione della salute e del wellness, favorendo nel contempo la frequentazione e conoscenza dei parchi e dei giardini presenti sul territorio comunale.
Con questo progetto si vuole anche creare una continuità, anno dopo anno, delle attività motorie organizzate cosicché ogni Società sportiva “adotti“ uno o più parchi/giardini, cercando di trasportare in quell’area anche altre iniziative, facendoli diventare un punto di ritrovo attivo.
Alcune delle aree verdi scelte sono gestite e certificate secondo il metodo “Bio-Habitat”, attraverso una manutenzione di tipo biologico che consente di limitare l’inquinamento ambientale e, nel contempo, favorisce la biodiversità. Vorrei segnalare anche che i grandi eventi di promozione dello sport, “Bologna Sport Day” e “Italian Sporting Games” si svolgono negli ultimi anni all’interno del Parco cittadino dei Giardini Margherita e le manifestazioni sportive cittadine “Race for the Cure” e “Run Midnight” hanno scelto come luogo dedicato all’evento la prima i Giardini Margherita e la seconda i Giardini della Montagnola.
Tag:Bologna, calcio, innovazione, prati naturali, ricerca e sviluppo, salute, Sport, Tappeti erbosi
Di solito la parola inquinamento evoca nella nostra mente ciminiere, gas di scarico e condotte fognarie che scaricano dentro i fiumi. Eppure esistono fonti di inquinamento meno note ma altrettanto dannose per la nostra salute: i rumori.
Chi vive in una grande città ha esperienza quotidiana dell’inquinamento acustico, una minaccia costante alla qualità della nostra vita, causa di stress psichico e fisico. Molte ricerche specialistiche hanno infatti dimostrato come l’incidenza di disturbi del sonno, infarti, ictus, ipertensione e malattie cardiovascolari, sia più diffusa tra la popolazione che vive nella congestione di città particolarmente rumorose, rispetto a quella meno sottoposta ai rumori.
L’inquinamento acustico può essere causa di ansia ed irritabilità nei bambini e di depressione negli adulti, ma l’Organizzazione mondiale della Sanità sostiene che in Europa l’inquinamento acustico rappresenti il secondo problema di rischio ambientale. Inoltre uno studio condotto nel 2001 negli Stati Uniti sostiene che, quando persistente, può causare gravi affezioni negli anziani, o aggravarle quando preesistenti.
Il verde urbano, ancora una volta, è una risorsa fondamentale per contrastare questo rischio: la vegetazione arborea ed arbustiva può contribuire ad attenuare i rumori mediante l’assorbimento, la riflessione e la rifrazione delle onde sonore. Non per niente la legge n. 10/2013 (Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani) all’art. 1 comma 1 riconosce agli spazi verdi urbani un ruolo essenziale nel miglioramento della «vivibilità degli insediamenti urbani».
Le foglie delle essenze che costituiscono un prato naturale, oltre che assorbire le emissioni tossiche prodotte dalla combustione dei gas di scarico e trattenere polveri e inquinanti dell’aria, sono in grado di attenuare il fastidio procurato dal rumore del 20-30%.
Le onde sonore sono infatti fortemente influenzate dalla tipologia di superficie che incontrano durante la loro diffusione: i prati, costituiti da tanti “fili di erba” offrono una superficie molto irregolare e flessibile, in grado di smorzare le onde sonore, assorbendo ed attenuando quindi i rumori del traffico, dei lavori in corso, delle industrie, ecc. In questo senso basti pensare che i prati presenti sugli argini delle autostrade riducono il rumore del traffico due volte di più rispetto alle pavimentazioni artificiali. Inoltre altri studi hanno dimostrato che se un prato naturale viene disposto su una barriera inclinata verso una fonte di rumore, questo viene ridotto da 8 a 10 decibel.
Considerando che, per evitare guai seri alla nostra salute, l’Oms raccomanda il rispetto delle soglie di esposizione fissate a 65 decibel durante il giorno e a 55 nel corso della notte, il prato naturale conferma il suo importante ruolo di “salva vita”.
Fonti consultate
«Burden of disease from environmental noise. Quantification of healthy life years lost in Europe» – Oms Europa, Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea (2011).
Manuale per tecnici del verde urbano, Regione Piemonte.
www.tuttogreen.it
www.sementi.it
www.thelawninstitute.org
Tag:inquinamento acustico, prati naturali, rumore, salute, sostenibilità ambientale
Salita agli onori della cronaca oltre 10 anni fa (www.pratinaturali.it/sport-prati-naturali-meglio) la notizia relativa ai rischi per la salute connessi all’attività sportiva sui campi in erba sintetica è stata una vera e propria bomba, soprattutto in Olanda, dove la discussione attorno a questa questione continua a tenere banco da diversi mesi.
Tutto è partito da un’indagine della trasmissione televisiva olandese “Zembla” andata in onda ad ottobre 2016, secondo la quale i granuli di gomma utilizzati per l’intaso dei prati sintetici sono potenzialmente cancerogeni poiché rilascerebbero composti nocivi per l’uomo.
La trasmissione (visionabile a questo link ) ha spinto il governo dell’Aia a chiedere un’ indagine all’Istituto nazionale olandese per la salute e l’ambiente (RIVM), che, di fatto, ha ribaltato la tesi della trasmissione rilevando come “trascurabile” il rischio per la salute di chi viene a contatto con i campi in erba sintetica. “I granuli di gomma contengono svariate sostanze – recita lo studio – come idrocarburi policiclici aromatici, metalli, ftalati e bisfenolo A, il cui rilascio nell’ambiente circostante risulta però essere in concentrazioni molto ridotte. Questo perché – continua lo studio – le sostanze sono inglobate all’interno dei granuli, quindi il loro effetto sulla salute umana risulta trascurabile”.
Non si è fatta attendere la replica di Zembla, che lo scorso febbraio ha girato una seconda puntata del documentario (visionabile a questo link) replicando al RIVM tramite il parere scientifico del prof. Jacob de Boer, direttore dell’istituto per gli studi ambientali dell’Università di Amsterdam (Vrije Universiteit), secondo il quale è fortemente sconsigliato svolgere attività sportiva su prati sintetici rivestiti da granuli di gomma.
Gli studi svolti dall’Istituto olandese hanno sottoposto stadi giovanili ed embrioni di pesce zebra (Danio rerio, scelto perché in questi pesci il cancro si sviluppa in modo simile a quello dell’uomo) evidenziando l’effetto delle sostanze incriminate: “gli embrioni esposti ad acqua messa a contatto per 24 ore con i granuli di gomma – ha detto de Boer intervistato da Zembla – sono morti dopo 5 giorni, mentre gli stadi giovanili dei pesci hanno modificato il loro comportamento. Secondo l’RIVM le sostanze chimiche sono imprigionate dentro i granuli – ha aggiunto de Boer – ma noi abbiamo riscontrato l’esatto opposto, vengono rilasciate nell’ambiente».
«Va segnalato che serviranno ulteriori studi per provare l’effetto sulla salute umana, ma gli studi dell’Università di Amsterdam sono un campanello d’allarme», ha detto a Zembla Jessica Legradi, tossicologa della Vrije Universiteit.
La questione, insomma, è lungi dall’essere chiusa.
Fonti consultate
• https://zembla.vara.nl/nieuws/dutch-university-research-shows-use-of-rubber-infill-for-artificial-grass-should-be-avoided
• http://rivm.openrepository.com/rivm/handle/10029/620801
• https://www.vu.nl/en/
• http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1535610802000521
Tag:Olanda, prati naturali, prato artificiale, ricerca e sviluppo, salute, Zembla
“Una condizione di benessere fisico e psichico dovuta a uno stato di perfetta funzionalità dell’organismo”, la definizione enciclopedica del termine salute, per quanto accurata, non rende giustizia alla sua complessità, tanto che già nel 1946 a questa definizione l’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), aggiunse il concetto di “socialità”, rappresentando quindi la salute non più solo come assenza di malattie, ma come uno stato di benessere fisico, psichico e sociale.
Se la salute quindi è composta da questi tre pilastri è ovvio che dove è possibile fare movimento, rilassarsi e incontrare altre persone è più facile essere in buona salute.
Ecco che il ruolo del verde nei centri abitati, sia ricreativo sia sportivo, gioca un ruolo fondamentale per mantenere la popolazione in salute, con indubbi benefici anche a livello economico.
Secondo il Ministero della Salute l’attività motoria della popolazione in Italia è diminuita di pari passo con i grandi cambiamenti del lavoro e dell’organizzazione delle città. Tra le cause lo sviluppo dell’automazione, la dominanza del trasporto motorizzato e la riduzione di spazi e sicurezza per pedoni e ciclisti assieme al calo degli spazi per il gioco libero dei bambini e per i giochi e gli sport spontanei e di squadra.
L’organismo umano – sottolinea il Ministero – non è nato per l’inattività: il movimento gli è connaturato e una regolare attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare tutti gli aspetti della qualità della vita. Al contrario, la scarsa attività fisica è implicata nell’insorgenza di alcuni tra i disturbi e le malattie oggi più frequenti: diabete di tipo 2, malattie cardiocircolatori (infarto miocardico, ictus, insufficienza cardiaca), tumori. Insomma, correre, giocare o anche semplicemente passeggiare nel verde di una città fa bene a qualunque età.
Non per niente, tra la fine del 19° e l’inizio del 20° secolo, per ovviare alle pessime situazioni igieniche delle grandi città europee causa di tubercolosi e colera, gli urbanisti cominciarono a creare aree verdi realizzando in molti quartieri parchi, giardini pubblici e aree gioco.
Ma il verde urbano ha tante altre funzioni, eccone alcune.
Fonti consultate:
● www.salute.gov.it
● Assosementi
● “Il verde è benessere” (2010) – GREEN CITY ITALIA
● Manuale per tecnici del verde urbano, Città di Torino
Tag:benessere, Italia, prati naturali, prato naturale, salute, Sport